07/12/13

Parchetto Feronia, Pietralata, Roma.


di Francesco Careri e Maria Rocco (LAC_Laboratorio di Arti Civiche)
in corso di pubblicazione su www.nipmagazine.it

Ci arriviamo di venerdì pomeriggio alla fine di una lunga camminata cominciata di buon mattino dalla nuova stazione Tiburtina, passando per cantieri, grandi sommovimenti di terra, accampamenti rom e cacciatori di reperti bellici. È la prima camminata con gli studenti del nuovo Master[1] stiamo per tornare a casa quando sulla strada verso la metro vediamo una rete aperta. Dietro c’è un fitto canneto, dei rovi e un sentiero che si inoltra. Troppo invitante per non entrarci. Ci infiliamo. Attraversiamo borsette di finto cuoio, brandelli di abiti, forse siringhe e seguiamo il sentiero fino ad arrivare a una casetta con intorno degli orti (urbani, certamente… urbani…). Il proprietario ha messo un singolare sistema di allarme. Dei fili di ferro per terra che quando li si pesta, fanno suonare dei grappoli di bottiglie. Ingegnoso. La porta è aperta ma non c’è nessuno. Usciamo dalla sua proprietà e ci troviamo in un cantiere di palazzine che sembrano venute dal raccordo anulare a saturare i pochi brandelli di spazi vuoti ancora esistenti. Gli operai ci gridano di tornare indietro, obbediamo ma fuggendo in avanti dove tra gli sterpi si ergono due bianche porte di un campo di calcetto. Figura ormai classica delle periferie italiane, fotografiamo.


In cima a una rupe ci appare questa scena: una baracca di teli di plastica verde dove alcuni vecchietti giocano a tressette. Intorno altri anziani assistono e commentano. Pioviccica. C’è una lunga panca, ci sediamo e proviamo a farci notare. È un po’ che gli giriamo intorno e li fotografiamo. Niente. Nessuno ci degna di un commento, di uno sguardo. Il tressette li assorbe e non hanno voglia di parlare col primo che capita. Dopo molti sforzi riusciamo a interagire: quella casa del tressette l’abbiamo costruita noi… insieme ad altri giovani… quel poco di spazio su cui si riesce a camminare lo abbiamo sottratto ai rovi… era tutto una massa di spine inaccessibile. Ovviamente tutto questo ci piace, capiamo che è proprio il posto che stiamo cercando, se mai ne stessimo cercando uno. È qui che volevamo inciampare. Quello squarcio verde in mezzo a palazzi, strade e cantieri, e soprattutto quell'idea e quel processo che i frequentatori della casetta stanno portando avanti, sono il terreno fertile dove proporre il progetto che comincia ad apparire nelle nostre menti. Per ora non ne parliamo. Meglio non creare aspettative. Ma non immaginiamo ancora quanto tutto questo ci coinvolgerà nei tempi a venire.

Seguono due mesi di organizzazione del workshop PICS[2] con ragionamenti incrociati tra LAC e LUS, e contatti con le istituzioni e le associazioni locali. Finalmente il workshop parte, in una prima fase si cammina, in una seconda fase si costruirà. Ritorniamo dai vecchietti alla fine di una campagna di esplorazione del quartiere di Pietralata, e questa volta insieme agli studenti del Master ci sono sessanta studenti provenienti da tutta Italia e un piccolo nucleo di abitanti. Attraversiamo l'intero quartiere di Pietralata in gruppi e lungo differenti percorsi. Troviamo paesaggi dimenticati e abbandonati, ma anche accessibili e ricchi di possibilità. Camminiamo, ne facciamo esperienza con il nostro corpo, li abitiamo e nelle nostre menti cominciano ad apparire nuovi immaginari. Raccogliamo storie e informazioni, seguiamo tracce e intuizioni. Alla fine produciamo una serie di mappe. Vogliamo restituire al territorio quei paesaggi che abbiamo attraversato. Desideriamo raccontare agli abitanti quella rete di attraversamenti del quartiere che a noi si è rivelata camminando e alcune idee utili per riattivarla con piccoli interventi di fluidificazione artistica e paesaggistica.

Sabato mattina. La nostra prima settimana si conclude a Parchetto Feronia. Oltre ai vecchietti nel frattempo abbiamo conosciuto anche i giovani che hanno avviato l’associazione Feronia[3], sono molto attivi e hanno tante idee per il parco. Inventiamo insieme un pranzo, o meglio un pics-nic, attorno alla casetta del tressette, per condividere i risultati dell’esperienza e capire come procedere. Le mappe elaborate sono stampate sulle tovagliette con cui vengono apparecchiate le tavole. Si mangia, si chiacchiera del parco e del quartiere, si beve e si canta accompagnati da chitarre e fisarmoniche. Poi la discussione si concentra sulla parte bassa del parco, verso le porte del campo di calcetto che abbiamo visto la prima volta, e su una vecchia rampa che scendeva nel bosco oggi infestata da rovi alti più degli uomini, una massa inaccessibile. Comincia a nascere l'idea di concentrare lì il lavoro successivo del workshop, per estendere il parco e rendere fruibile anche quell'area. Andiamo insieme a vedere come si può fare. Dalle parole ai fatti è un solo istante. Improvvisamente siamo in un film di Fellini: un decespugliatore fa da apripista e si inoltra scolpendo tra i rovi una nuova strada. Segue un corteo di musicisti, danzatori e saltimbanco, che procede lentamente al ritmo del decespugliatore. Quando la strada è aperta si balla in cerchio schiacciando l’erba del campo di calcetto al suono vetusto delle fisarmoniche tzigane. Un rituale ludico collettivo inaugurale, che sancisce l’annessione al parco di questo nuovo spazio, ma soprattutto una nuova fratellanza tra PICS e l'associazione Feronia.

Prima di tornarci passa un altro mese di incontri e ragionamenti. Abbandonata  lentamente l’idea di intervenire in più luoghi del quartiere con il pericolo di lasciare all’abbandono quanto potremmo produrre, si chiarisce che è meglio seminare dove il terreno è fertile. L’obiettivo diventa partecipare al progetto dell'associazione Feronia, far crescere il parco nato grazie alle sue cure, nutrirlo con nuove idee, mettendo a disposizione competenze, forza lavoro ed energia. Lanciarci in una sperimentazione comune alla ricerca di nuove modalità di costruzione di uno spazio pubblico inedito e condiviso. Questo almeno è quanto spieghiamo a cena la sera prima di iniziare i lavori, agli architetti, paesaggisti e professionisti invitati a guidare la fase costruttiva del workshop.[4] Vogliamo fare un parco in una settimana. La sorte vuole che uno dei ragazzi del parco è falegname. Dopo alcuni tentennamenti si convince. Domani verrà con il suo furgone con tutti gli attrezzi di cui abbiamo bisogno. L'arrivo di una camionata di legno inaugura la settimana di cantiere di autocostruzione. Si parte senza un progetto vero e proprio. Ma il nostro viavai incuriosito ha scolpito i sentieri che mancavano e ha rivelato alcune potenziali aree di intervento. A gruppi si cerca di immaginare dei luoghi in diverse aree del parco con un disegno ancora aperto alla trasformazione. Senza ulteriori riunioni ma con continui scambi di idee tra tutti si cerca di armonizzare e controllare il processo relazionale, creativo e costruttivo. A un certo punto tutti cominciano ad andare a prendere le tavole di legno e a portarle in diversi posti. Significa che si sa cosa fare.

Prendono il via sei piccole opere: la Casetta del Tresette, ricostruita in legno intorno a quella precedente, e che solo alla fine viene smontata con il consenso dei vecchietti; la Stazione Feronia, una piattaforma con sedute per la sosta nel parco, realizzata con pallets di riciclo; il Dragone, grande architettura zoomorfa che segnala, invita e accompagna a scendere nella parte bassa del parco; il Bosco a Dondolo, un sistema di panche sospese agli alberi a ridosso del nuovo percorso di discesa scolpito con il tagliaerba; il Merendero, una piattaforma con sedute all'ombra di un grande albero; il Frutteto, due tavoli con panche tra degli alberi da frutto piantati dai partecipanti; in tutto il parco diffondiamo un sistema di segnaletica per facilitarne la fruizione.
Il progetto/processo è continuamente dirottato dai desideri di ognuno, dagli imprevisti saltati fuori in corso d'opera e dalle conseguenze inaspettate, ma spesso determinanti, delle azioni messe in campo. Lavorando a stretto contatto si susseguono accese discussioni tra partecipanti e residenti: materiali impiegati, soluzioni costruttive, dove mettere cosa, dimensioni, forme, colori… tutto, fino ai minimi dettagli, è costantemente messo in discussione da tutti. Tanto che spesso si decide costruire direttamente senza far sapere cosa e dove, per poi sparire al bar in modo da “sfuggire alla partecipazione” e alle infinite elucubrazioni. Gli abitanti infatti hanno scoperto per la prima volta che hanno facoltà di parola e questo diritto non lo mollano più. Ma a parte il desiderio di commentare e criticare, tutto viene poi assorbito e inglobato dal parco. In pochi giorni, a lavori avviati, tutti contribuiscono come possono a ideare, costruire, fornire materiali e strumenti, o anche solo supporto morale nei momenti di maggiore fatica e problematicità; gli anziani del tressette ci coccolano con dolci e altre attenzioni, i giovani dell'associazione cercano di coinvolgere il vicinato e lavorano insieme a noi. L'opera finita prendere forme inedite che al principio, nella fase d’ideazione, non erano assolutamente visibili. Sono architetture di qualità, interventi ragionati e puliti, che non appartengono al pensiero di un singolo, ma scaturiscono dalla capacità di armonizzare tra loro tutti i contributi nel loro divenire.

Ultimo giorno. Giorno di inaugurazione, di pranzi, di saluti e di arrivederci. Il miracolo si è compiuto. Si passeggia nel parco e si abitano i nuovi luoghi fino a notte tarda. Si brinda “contro Autocad” e tra le risate generali si propone di disinstallarlo tutti per non diventare “caddisti”, i nuovi schiavi di alienanti catene produttive. Alla fine è convinzione diffusa che il progetto indeterminato può essere. L’architettura è molto più bella se fatta così, con chiodi, martello e lavorando con gli abitanti. Senza disegni, senza rendering, senza simulazioni. Scherzando con gli imprevisti. Alla scala del corpo dell’uomo, alla scala Uno a Uno.




[1] Master MAAC - Arti Architettura Città | http://www.articiviche.net/LAC/MAAC.html
[2] Il Workshop è parte del seminario progettuale PIETRALATA PAESAGGI PROSSIMI nell’ambito del programma PICS_Public Identity and Common Space, a cura di Anna Lambertini, Annalisa Metta e Maria Livia Olivetti (ricerca LUS/UniRomaTre), con Eliana Saracino e Mario Leonori, in collaborazione con: Francesco Careri, Emanuela Di Felice, Florian Loesch, Maria Rocco per LAC_Laboratorio Arti Civiche, Biennale dello Spazio Pubblico, Associazione Feronia. http://www.livingurbanscape.org/pics.workshop.html
[3] Associazione culturale Feronia: http://parchettoferonia.blogspot.it/ https://www.facebook.com/associazioneculturale.feronia
[4] I gruppi di lavoro sono stati seguiti da German Valenzuela (architetto, professore alla Universidad de Talca, Cile), Francisco Guynot de Boismenu (architetto, Uruguay), François Vadepied e Mathieu Gontier (Wagon Landscaping paesaggisti, Parigi), Patrizia di Monte e Ignacio Grávalos (architetti, Saragozza), con la partecipazione di Monica Bertolino (architetto, Cordoba, Argentina) e con l’intervento di Daniela Colafranceschi (architetto, professore all’Università di Reggio Calabria).

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