06/05/15

Careri@ Gli angeli non abitano più qui, 7-8 maggio Roma La Sapienza

GLI ANGELI NON ABITANO PIU' QUI
Una lettura della periferia romana da parte della ricerca
Giovedì 7 e venerdì 8 maggio, presso la facoltà di Ingegneria civile e industriale, si svolgerà il convegno “Gli angeli non abitano più qui - Una lettura della periferia romana da parte della ricerca”, promosso nell’ambito del dottorato di ricerca in Ingegneria dell’architettura e dell’urbanistica. 
I lavori si articoleranno in quattro sessioni dedicate a “Che cos’è periferia?”, “Progetti e pratiche”, “Conflitti e potere” e “Culture e rappresentazioni”, a cui parteciperanno studiosi e intellettuali che, a vario titolo, si sono occupati di marginalità e periferie. Interverranno tra gli altri Franco Ferrarotti, Maria Immacolata Macioti, Giancarlo De Cataldo, Franco Purini, Walter Tocci, Luca Mascini degli Assalti Frontali, Luigi Nieri e Alessandro Portelli. In occasione del convegno verrà allestita una mostra fotografica di Alessandro Lanzetta sulle periferie romane.
giovedì 7e venerdì 8 maggio 2015, ore 9.00
sala grande del chiostro - facoltà di Ingegneria civile e industriale
via Eudossiana 18, Roma


articolo introduttivo di Enzo Scandurra
http://comune-info.net/2015/04/il-senso-delle-periferie-e-della-citta/
downaload locandina a: 
http://www.ing.uniroma1.it/drupal/sites/default/files/allegati_notizie/Locandina%20Convegno_0.pdf




Prima sessione: Che cos’è periferia?
Che cos’è che definisce un luogo come periferia? Qualche decennio fa era facile rispondere: tutto ciò che era fuori dalle antiche mura della città, dal suo centro storico, dai saperi, relazioni, mentalità che nel corso dei secoli si erano qui sedimentate. Nella periferia c’era la classe operaia o, come a Roma, il sottoproletariato di recente immigrazione: la divisione territoriale ricalcava quella di classe e tutto risultava estremamente chiaro. Ma poi con la nascita della metropoli, delle sue culture e del suo spazio senza più confini, quella tradizionale scissione tra centro e periferia salta: i linguaggi delle periferie cominciano ad imporsi, ibridano le antiche diversità, attraversano le disparità sociali, si dislocano lungo tutto il territorio metropolitano.
Se tutto questo è vero, allora che cos’è che definisce oggi un luogo come periferia?
Ancora una volta la condizione territoriale? Le culture e gli stili di vita fondati sul consumo? Le diseguaglianze economiche? L’espansione edilizia? Il fallimento del progetto? Il dominio incontrastato del mercato e, di conseguenza, l’assenza di politica? Il conflitto trasformato molto spesso in devianza o in violenza senza nome? L’immigrazione clandestina massiccia? La fine del sociale?
E che cosa è rimasto di quella periferia romana che almeno dai primi anni ’60 del Novecento ha lavorato come grande laboratorio di sperimentazione culturale, come cantiere di inedite alchimie sociali, come formidabile macchinario che produceva potenti immaginari dove sono precipitati molto spesso i simboli dell’intera comunità nazionale?

Seconda sessione: Progetti e pratiche
Per l'urbanistica e l'architettura, come discipline del “moderno”, generalmente il termine progetto è associato ad un'attività regolatrice e di configurazione dello spazio, prodotta “dall'alto” che, in virtù di una competenza esperta, sarebbe in grado di risolvere i problemi della città e dell'urbano. L'organizzazione e la pianificazione dello spazio, operate tanto dall'urbanistica quanto dall'architettura, si sono così spesso configurate come espressioni di una visione zenitale dello spazio, riducendo i luoghi a funzioni, rapporti geometrici e cubature edificate o edificabili. Per gli organizzatori della sessione il progetto va piuttosto inteso come un processo di interazione sociale. Pertanto, non è progetto solo quanto viene deciso, immaginato, costruito dall'alto, ma, piuttosto, esprime progettualità ogni azione che interviene nel modificare la città, i suoi spazi e l'uso che se ne fa; le pratiche urbane, siano esse pratiche ordinarie, espressione dell'abitare quotidiano, oppure azioni collettive organizzate ed intenzionali, oltre ad una geografia di valori e significati, esprimono una forte progettualità, ovvero una capacità di agire e trasformare, e dunque abitare un territorio.
Si vuole, poi, porre in discussione l’idea che il recupero o la riqualificazione delle periferie possa passare solo attraverso interventi o politiche di “ricucitura” o di “rammendo”. Il carattere strutturale
delle periferie della città globalizzata impone ben altre politiche, di carattere radicale, che affrontino il problema del modello di sviluppo e dell’organizzazione complessiva delle città.
Infine, siano esse luoghi di assenza di progetto, ovvero territori abbandonati, di scarto, di accumulo di funzioni “indesiderate”, oppure, nel caso dei quartieri di edilizia pubblica, luoghi di cristallizzazione dell'iper-progetto, espressione di un'epoca storica e di un'ideologia dell'intervento esperto-risolutore, le periferie contemporanee sono oggi luoghi dell'assenza del progetto pubblico e delle istituzioni, e dove è venuta meno la mediazione politica. Al tempo stesso, vedono sorgere al proprio interno progettualità molteplici, con fini eterogenei e plurali. Nella periferia registriamo una proliferazione di movimenti, comitati e di associazioni locali, ma anche pratiche non organizzate che si occupano della riqualificazione urbana, della questione abitativa, delle condizioni di vita nei propri quartieri, ecc.. Si moltiplicano esperienze di autorganizzazione urbana, che spesso implicano anche forme di riappropriazione degli spazi, siano essi edifici abbandonati e dismessi, luoghi pubblici, terreni incolti, o altro. Roma in particolare è da questo punto di vista un luogo particolarmente ricco di progettualità prodotte dal basso, tanto che possiamo considerare la capitale una città per buona parte “autoprodotta”, soprattutto nei territori più periferici.
Da un lato, dunque, il fermento delle pratiche in periferia genera nuove progettualità, attraverso la produzione di servizi auto-organizzati in maniera collettiva e la riattivazione e gestione innovativa di spazi e di diritti ad essi connessi; al tempo stesso il proliferare di pratiche diverse ed estremamente eterogenee solleva tuttavia una serie di criticità e ambiguità:
 Come determinare se e quali pratiche siano in grado di generare esiti pubblici e quali altre invece generano dinamiche esclusive ed escludenti? È necessario dotarsi di criteri per “valutare” la positività delle pratiche urbane in termini di produzione di azioni che possano dirsi pubbliche o piuttosto porre l'attenzione sulla qualità dei processi innescati dalle pratiche stesse?
 Se è vero che le progettualità del basso sono parte integrante del progetto di trasformazione della città è anche vero che, in maniera paradigmatica nel caso delle periferie, l'assenza delle istituzioni sui territori costituisce oggi un problema di grande rilevanza. Come, dunque, far sì che la necessaria attenzione che va riposta nella rilevanza delle pratiche dal basso non si trasformi in una “delega permanente” che, liberando le istituzioni dalle loro responsabilità, gravi esclusivamente sui cittadini? Come fare sì, in altri termini, che le istituzioni possano tornare nei territori in maniera intelligente e “sensibile”, ovvero come parte, insieme ai cittadini, dei processi di interazione sociale che generano progetto?
 Ed è ancora possibile pensare uno spazio per politiche di ripensamento della città che vadano al di là del “rammendo”, che ridiano cittadinanza alle periferie?
 Come il progetto esperto, dunque il progetto di architettura ed urbanistica, può trovare modalità attraverso cui relazionarsi con la molteplicità di esperienze prodotte dal basso? Quale ruolo e quali caratteristiche può assumere in relazione alle progettualità auto-prodotte? Attraverso quali forme può farsi dimensione dinamica in grado di stimolare un'interazione continua tra istituzioni e territori? E’ possibile ripensare una politica a parte da questa interazione?
Per sollecitare e completare la discussione, la sessione si propone di attivare l'intervento tanto di una rete cittadina di “esperienze dal basso” che variamente coinvolgono e si sviluppano sui territori “periferici”, quanto di esempi interessanti di collaborazione tra pratiche dal basso ed istituzioni.

Terza sessione: Conflitti e Potere
“per capire ciò che accade nei luoghi, come città e grands ensembles, che riavvicinano persone […], costringendole a coabitare, sia nell’ignoranza o nella reciproca incomprensione, sia nel conflitto, latente o dichiarato, con tutte le sofferenze che ne risultano, non basta rendere ragione di ciascuno dei punti di vista presi in modo separato. Bisogna anche confrontarli come sono nella realtà, non per relativizzarli, lasciando giocare all’infinito il gioco delle immagini incrociate, ma, al contrario, per fare apparire, attraverso il semplice effetto di giustapposizione, ciò che risulta dallo scontro di visioni del mondo differenti o antagoniste: cioè, in certi casi, il tragico, che nasce dallo scontro senza concessioni o compromessi di punti di vista incompatibili, perché ugualmente fondati su delle ragioni sociali» (Bourdieu)
Le periferie urbane sono innervate da una molteplicità di conflitti difficilmente riducibili. Questo variegato insieme di conflittualità non è confinabile all'interno di descrizioni tassonomiche che rischiano di trasformarsi in esercizi inutili e fuorvianti. Quello che sembra più interessante invece è cercare di comprendere le ragioni profonde e trasversali che animano questi conflitti metropolitani. Uno sforzo che appare tanto più necessario quanto più appare evidente una certa incapacità della politica e del sistema della rappresentanza di comprendere e soddisfare i bisogni che sono alla base di questi stessi conflitti. In termini generali, ci sembra di poter individuare alcune questioni importanti che richiedono uno sforzo di comprensione.
 I conflitti contemporanei sembrano distaccarsi significativamente dalla forma-conflitto che ha attraversato il '900 e che aveva come scenario privilegiato un'antropologia di tipo fordista scandita da lotte di classe (principalmente di fabbrica) e riconoscimento di diritti collettivi. Oggi, l'irrompere di nuove forme di disuguaglianza, esclusione e marginalizzazione sociale finiscono col nutrire conflitti molecolarizzati spesso incapaci di costituirsi come soggettività politiche, eppure diffusi e potenzialmente portatori di rinnovamento sociale radicale.
 La metropoli costituisce il dispositivo di interconnessione tra fenomeni eminentemente globali (cambiamento del modo di produzione, finanziarizzazione, mobilità della forza lavoro) e addensamenti singolari/locali di difficile generalizzazione. In questa interconnessione emerge il conflitto tra poteri globali e politiche locali: un conflitto di scala e di sistema. Un conflitto in cui l'economia, tanto finanziaria quanto produttiva, finisce col sostituire la politica nel conferire senso al territorio
 I conflitti sembrano sempre più generarsi tra domanda di libertà e specifici dispositivi di potere e di controllo. Tra nuove forme di diritto alla città e negazione della stessa. Questi conflitti informano una microfisica di resistenze metropolitane che veicolano interessi ancora non rappresentati mettendo in luce contraddizioni sociali a cui è necessario dare risposte.
 Il conflitto dovrebbe essere interpretato anche e sopratutto come processo costituente, come pratica di cittadinanza, di democrazia e di apprendimento delle differenze. In questo senso risultano inefficaci e dannose le retoriche emergenziali e securitarie che permeano sempre più spesso l'agire politico delle istituzioni. Altrettanto rischiose sono quelle politiche che cercano di normalizzare il conflitto attraverso una riduzione consensuale delle differenze poiché finiscono spesso col produrre una sterilizzazione/repressione delle ragioni che stanno dietro al conflitto.
Tali questioni come vengono declinate all'interno delle periferie romane? Quali speranze possono scaturire da questi conflitti, e quali pratiche attraversano e ridisegnano lo spazio metropolitano romano? Quali narrazioni possibili per raccontare la città con uno sguardo altro dalla retorica
emergenziale, securitaria e razzista? Esiste una specificità romana entro cui cercare di nominare queste nuove forme di ribellione e conflitto? In che modo la politica istituzionale si relaziona alla dimensione del conflitto all’interno di un quadro che sembra delineare una sempre più crescente richiesta di autorganizzazione da parte della società?

Quarta sessione: Culture e rappresentazioni
Scomparse le gerarchie spaziali e sociali della città fordista ravvisabili per vari aspetti anche in una città mediterranea come Roma, la periferia o resta sinonimo della metropoli diffusa “senza qualità” tout court o ci riferiamo a quegli habitat molto differenziati caratterizzati da una composizione sociale complessa riguardante soprattutto le classi popolari, i territori segnati particolarmente da disuguaglianze e conflitti.
Non diamo per scontata l’accessibilità, la leggibilità, e soprattutto la capacità di restituzione e di presa in carico da parte dei saperi tradizionalmente deputati alla rappresentazione dell’urbano, in primis la disciplina urbanistica, di questi territori complessi e dei loro residenti, della loro stratificazione e delle loro potenzialità. Intendiamo sollevare il problema della rappresentazione delle periferie come modo per interrogarci sui limiti e sulle possibilità delle strategie conoscitive utilizzate dalle scienze sociali nel tentativo di interpretare ed evocare i mondi vitali di questi territori.
La dimensione culturale assume una enfatizzazione abnorme nel conflitto urbano rispetto ad appena qualche decennio fa secondo il giudizio sia degli specialisti che degli stessi imprenditori politici della sicurezza. Stereotipi e rappresentazioni hanno un ruolo fondamentale. Ad esempio i migranti ormai costituiscono un decimo della popolazione, sparsi nei vari quartieri popolari, si distinguono da tutti i precedenti flussi storici, praticano una continua transnazionalità che spesso riguarda anche più di due paesi. Ciononostante il fronte xenofobo enfatizza la loro etnicità come irriducibile e rischiosa per una pretesa unitaria cultura ed identità nazionale. L’ingenuo entusiasmo per un multiculturalismo rassicurante è ugualmente fuorviante. Oggi in Italia abbiamo già molti scrittori migranti che hanno prodotto una letteratura nella nostra lingua. Lo stesso vale per i Rom, appena poche migliaia, segregati in veri e propri lager istituzionalizzati proprio in nome della loro differenza culturale.
Le aree di maggiore disagio sociale sono le vere e proprie cittadelle pianificate di edilizia residenziale pubblica, sin dagli inizi concentrazione di povertà urbane dove si può sopravvivere solo districandosi tra legalità e illegalità, in maniera assai più drammatica delle occupazioni abitative o delle baraccopoli nelle quali gli abitanti dispongono spesso di maggiore capitale sociale. Eppure in tali contesti rappresentati come habitat della devianza, tante Gomorra, in maniera autonoma sono sorte e proliferano ormai da decenni le culture giovanili di strada, che interpretano il conflitto urbano in forme di antagonismo espressivo. Attraverso l’ideologia della “prossimità” e della “partecipazione” si tende ad impedire esplosioni di conflittualità. La spazializzazione dei problemi sociali tende a rendere invisibile tutto quello che la situazione dei quartieri più poveri deve a quello che succede negli altri universi. La cultura e la bellezza sarebbero la panacea per rigenerare le periferie degradate. Attraverso un fiorire di committenze pubbliche Street artists hanno decorato le facciate di numerosi palazzi di quartieri di edilizia residenziale pubblica. Ma sul serio si pensa di
rammendare le periferie con la Street art legalizzando una forma espressiva che nasceva illegale? Ottimismo ingenuo o malafede?
In questa sessione, le periferie vengono considerate come luoghi di gestazione di forme di vita, non quindi solo come fondali di marginalità e segregazione urbana, ma come luoghi attivi, come siti di costante produzione culturale e contro-culturale, come una categoria dell’immaginario urbano che è venuta a costituirsi non solo grazie ai saperi, ma anche come prodotto di narrazioni letterarie e filmiche.

Transitare attraverso questo doppio binario risponde all’esigenza di associare l’analisi tentata da questo convegno con evidenze del sensibile e del quotidiano, con corpi, con costellazioni di immagini, passioni e affetti, con mondi di significati ed espressioni, con storie singolari e collettive, che costituiscono sia il motore primo dell’interesse per questi spazi di vita, sia il bordo ingovernabile dell’analisi stessa.

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