04/11/15

CARERI @ LEUVEN - LEARNING FROM CORVIALE, 10 NOVEMBRE 2015

Learning from Corviale
Francesco Careri
10 November 2015, 18:30Auditorium De Molen
Kasteelpark Arenberg 1, 3001 Leuven, Belgio

Master of Architecture and Human Settlements (MaHS)Master of Urbanism and Strategic Planning (MaUSP)Department of Architecture, KU Leuven

Learning from Corviale
di Francesco Careri, 2006, in “Osservatorio Nomade. Immaginare Corviale. Pratiche estetiche per la città contemporanea”, a cura di Bartolomeo Pietromarchi e Flaminia Gennari, Bruno Mondadori, Milano, pp. 80-99

Corviale è il simbolo di tanti quartieri modello abbandonati prima dagli architetti che li avevano immaginati, poi dalle amministrazioni che avrebbero dovuto gestirli e infine dalla città che ha voltato la faccia per non guardarli. Territori lasciati all’auto-organizzazione degli abitanti, agli assistenti sociali, alle strumentalizzazioni dei partiti e al controllo delle questure, dove il potere pubblico ha prodotto più danni che soluzioni e più promesse che fatti.
È proprio in questi luoghi che l’arte pubblica e la ricerca sperimentale possono svolgere un importante ruolo di mediazione tra abitanti e amministrazione. Qui l’arte, forse a causa di una supposta innocenza e inutilità, permette di sospendere le ordinarie procedure urbanistiche e le astratte attitudini degli studi professionali, per lasciare il campo a inedite modalità di intervento a cavallo tra arte e architettura, tra antropologia e urbanistica, tra geografia e politica. Questi luoghi nati dal determinismo del progetto moderno mettono oggi in crisi la nozione stessa di progetto, implorano di rinnovare il senso della parola urbanistica, invitano l’arte alla disponibilità e all’ascolto, spingono l’architettura ad essere attitudine prima di tradursi in forma. Immaginare Corviale ha mostrato come, attraverso l’arte pubblica, le amministrazioni possono riuscire ad affrontare luoghi difficili, come le università possono affrontare temi più che mai centrali per la cultura, come le discipline urbane e le ricerche artistiche possono incrociarsi con la formazione e sperimentarsi nel vivo della città, lontano da aule, laboratori e dipartimenti.

La Corviale UniverCity è una struttura di formazione messa in campo dall’Università Nomade per indagare la realtà fisica dell’edificio, per raccontarla e per fornire proposte, visioni e progetti aperti alla condivisione con gli abitanti. Ha funzionato attraverso diversi workshop e ha avuto come sede e come insegnante principale Corviale stesso. Il suo ruolo è stato quello di strumento d’indagine ravvicinata e molteplice, di operare attraverso una esplorazione continua e un continuo scambio di informazioni che ha permesso al sapere di ramificarsi e di divenire patrimonio comune per insegnanti, studenti e per gli stessi abitanti. Qui sono confluite le conoscenze di tutti quanti hanno indagato la quotidianità dell’edificio, ognuno con le proprie forme e con il proprio approccio. E in questo senso è stata fondamentale la stretta relazione con le altre due principali sezioni del progetto: Storie Comuni, le cui ricerche sulla memoria si sono più volte intersecate con la didattica, e soprattutto Corviale Network che ha seguito l’insieme dei workshop e lo ha diffuso alla città. La televisione si è così rivelata un inedito e potente strumento progettuale che ha mutato le forme della comunicazione dei progetti: gli studenti oltre che immagini e disegni hanno confezionato servizi televisivi per parlare direttamente al quartiere e alla città, risvegliando negli abitanti il desiderio di progettare il proprio spazio e informando le discussioni che hanno portato ai Laboratori Condominiali e alle seguenti fasi progettuali sul quarto piano e gli orti urbani.

Corviale è un edificio molto semplice da fuori e molto complesso da dentro, un immenso oggetto che contiene tanti piccoli luoghi, abitati da altrettante microcomunità di vicinato. È una complessa geografia in cui si deve passare dal grande oggetto ai luoghi, dalla scala urbana a quella condominiale. Verificare il suo reale rapporto con il territorio e riconoscere delle differenze in quel che sembra un monotono continuum di cemento, dare nomi diversi ad ambienti che sembrano tutti uguali, ma in realtà cambiano da piano a piano, da lotto a lotto, in base a complicatissime alchimie sociali, antropologiche e spaziali. Per conoscerlo veramente in ogni suo ingranaggio bisognava trovare il modo di esplorarlo in tutti i suoi angoli più nascosti, svelarne le dinamiche, conoscere gli abitanti e costruire quante più relazioni personali possibili.
Nelle esplorazioni urbane fatte con Stalker a metà degli anni novanta, guardando ai vuoti ci eravamo disinteressati ai pieni e Corviale con gli altri quartieri di edilizia popolare erano solo punti di riferimento geografici durante le derive, costellazioni ordinate in un planisfero caotico. Attraverso la Corviale UniverCity ora volevamo esplorare l’edificio con la stessa attitudine che avevamo avuto per i vuoti, mapparlo come se fosse un Territorio Attuale a più piani. Dopo i primi due workshop spesi ad esplorare il territorio intorno, si è passati così ad affrontare il territorio interno, a interpretarlo non a partire dalla forma o dai valori simbolici che essa può evocare, ma dagli usi capaci di raccontarne il vissuto, dalle microstorie cristallizzate nella sua architettura, dalle microtrasformazioni: le manomissioni, appropriazioni e soluzioni a volte ingegnose con cui gli abitanti hanno riposto al progetto.
Percorrerlo il più possibile è sembrata l’unica maniera di conoscerlo e i workshop hanno permesso di moltiplicare i passi, gli occhi e le relazioni personali. Per alcune settimane piccoli gruppi hanno esplorato l’edificio in tutte le sue parti, sono stati ospitati nei soggiorni delle case, hanno cominciato ad avere un frequentazione quasi quotidiana, con appuntamenti, incontri e riunioni. Avendo delle cose da si è cominciato a camminare con un’aria meno da turista, a prendere gli ascensori giusti, ad andare in giro come ospiti in cerca di un numero civico, a trovare ostacoli inaspettati, a volte scorciatoie, e a capire dove si passa e dove non si passa.

Immediatamente il monolite di cemento si è trasformato in un’articolata cartografia di luoghi, di nomi e di persone. Cominciamo a comprendere come si usa questo spazio. Gli abitanti ci insegnano a ragionare per lotti e per piani e a decifrare le prime differenze: il terzo lotto è considerato la “zona nobile”, la più pulita e la meglio organizzata dal punto di vista gestionale; il primo e il secondo lotto sono i più angusti, con meno vegetazione e meno relazioni sociali; il quarto e quinto lotto sono più solidali e con più vita comunitaria, sono più vicini alla città ma anche più isolati dal resto dell’edificio; chi abita all’ultimo piano ha infiltrazioni dalla terrazza ma la vista è panoramica e i ballatoi sono pieni di piante perché ci arriva una bella luce; le case che si affacciano sulla campagna sono considerate migliori di quelle che si affacciano verso la città; chi vive nei primi quattro piani “in linea” deve passare per l’angusto porticato interno, ma si sente più sicuro di quelli che vivono nei piani “a ballatoio” dove ti passa davanti alla porta di casa un’intera città; nei ballatoi hanno messo dei cancelli tra un lotto e l’altro ed è sempre più difficile camminare in orizzontale; il numero civico di chi ha le chiavi dei lucchetti del tetto-terrazza è scritto sul muro accanto al cancello, mentre per passare di lotto in lotto si deve verificare di persona: i cancelli sono aperti o chiusi come in un labirinto dinamico con infinite variabili. Qui la geografia cambia di giorno in giorno.

Le microtrasformazioni sembrano essere strategie o piuttosto tattiche di sopravvivenza indotte dagli errori progettuali, e questi a nostro parere sono molti e diversificati. Il più evidente è l’ostilità contro il paesaggio, accademicamente considerato un contesto naturale in cui inserire l’oggetto artificiale, ma la cui vista panoramica dagli spazi pubblici dell’interno viene sempre negata e impedita da scelte formali. Ne sono un esempio gli alti muri di bordo del tetto-terrazza, un potenziale ponte di nave da cui si sarebbe potuto vedere il mare, i corpi scala monumentali otturati da pannelli di plastica traslucida e gli spazi di aggregazione dei ballatoi che hanno panchine e tavolini, ma neanche una finestra per guardare fuori. Poi ci sono errori tipologici come l’eccessiva vicinanza dei due corpi di fabbrica che produce chiostrine buie e profonde dove si sarebbe invece potuto avere dei veri cortili, la non flessibilità delle tipologie abitative in molti casi obsolete ma non più modificabili; e quelli morfologici come l’interruzione dello skyline orizzontale dovuto alla scelta di seguire il salto di quota del crinale della collina e che ha causato l’interruzione tra terzo e quarto lotto; e infine quelli tecnologici, che con la scelta della struttura in setti di cemento armato, rende l’edificio assolutamente non flessibile.

Corviale, pur non prestandosi essendo una struttura rigida, è stato trasformato quasi al massimo delle sue possibilità. Le trasformazioni hanno agito a più scale: le macrotrasformazioni degli abusivi, come l’intero sistema del piano libero e la fascia degli orti urbani, entrambe con caratteristiche sia di bonifica che di esclusione, ma al piano libero con un’evoluzione dall’appropriazione alla condivisione: è chiuso all’esterno ma al suo interno offre una gradazione di spazi semiprivati condivisi. Nei ballatoi invece c’è un sentimento di rinuncia ad un’azione organizzata e finalizzata all’uso comune dello spazio, qui sono più frequenti le microtrasformazioni degli assegnatari, che sono di tipo architettonico (espansioni dello spazio domestico, appropriazioni di parti di ballatoio e di pianerottoli, chiusure con porte, muri e finestre), decorativo (piante, panchine, luci, colori, filtri per l’introspezione), funzionale (citofoni, parabole, grate, cancelli), gestionale (manutenzioni, pulizie, sorveglianza, indicazioni). Vanno poi ricordate le auto-dotazioni di servizi sociali mancanti e oramai consolidate (il centro anziani, la palestra, il giardino del bar); e le trasformazioni dovute alla polizia, come le chiusure delle uscite del ponte di ferro e l’interruzione del porticato del piano terra dove per un maggiore controllo sono stati murati tutti i passaggi tra i lotti interrompendo la continuità dei collegamenti, trasformazioni forse utili negli anni duri, ma oggi sicuramente obsolete.

Le microtrasformazioni oltre ad essere un interessante indice di come gli abitanti rispondono all’imposizione dall’alto, sono indizi e suggerimenti utili per i futuri interventi sull’edificio. A volte per affrontare lo stesso problema esse variano di lotto in lotto, mostrando una diversificata domanda delle microcomunità che li abitano, fatto che dovrebbe portare a non immaginare mai più delle soluzioni a trafilato, ossia il disegno di una sezione tipo da imporre su tutta la lunghezza, ma piuttosto a cominciare ad immaginare soluzioni per punti. Se le microtrasformazioni sono un indice per misurare il rapporto soggettivo degli abitanti con l'edificio e se indicano l’adattabilità e la vitalità dell’organismo, allora esse possono anche rivelarci dove e perché Corviale è più o meno vitale, dove, in una ipotetica progettazione omeopatica sul corpo dell’edificio, si devono inserire gli aghi dell’agopuntura. Corviale che così tanto ha subito l’architettura, non potrebbe infatti più sopportare una nuova progettazione dall’alto, necessita di un pensiero dal basso, un’architettura debole che nasca dalla conoscenza delle microtrasformazioni e dalla relazione con le microcomunità che lo abitano. Necessita di soluzioni geografiche che tengano conto delle complesse mappe interne dell’abitato, delle loro differenze, delle loro identità, dei loro desideri. Siamo convinti che un’architettura sperimentale come Corviale abbia bisogno di nuove sperimentazioni interdisciplinari tra arte e città, di grandi visioni futuribili fondate questa volta sulla quotidianità e non sulla monumentalità. Ogni futuro progetto su corviale dovrebbe essere la moltiplicazione di tante sezioni tipo possibili per le tante microcomunità che lo abitano: un’infinità di soluzioni che possano variare in base alla geografia abitata dell’edificio. Corviale è una città che deve essere affrontata come un edificio, forse come ogni città: come un insieme di appartamenti da ristrutturare e di spazi pubblici dalle infinite gradazioni la cui cura non potrà che essere affidata a quelle microcomuità che nel tempo se ne sono appropriate.
Corviale UniverCity vuole essere un invito a continuare a proiettare visioni su questa incompiuta città ideale che è sopravvissuta eroicamente al moderno e che ha sicuramente ancora bisogno di immaginazione, di creatività, di architettura.

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